il Mose, Come è andata a finire?



Come è andata a finire? Nella bufera Galan, Chisso, Marchese. E Orsoni per finanziamento illecito ai partiti.


Era ancora buio quel 4 giugno di un anno fa scattò il blitz per l’inchiesta «Mose». I finanzieri bussavano alla porta di 35 persone, tra politici e imprenditori, per la notifica di provvedimenti d’arresto. Tra i destinatari, anche il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, posto ai domiciliari per alcune settimane per finanziamento illecito per la sua campagna elettorale del 2010. Ben diverse, le accuse sugli atti con i nomi di Giancarlo Galan, senatore di Fi, chiamato in causa come ex governatore del Veneto per 15 anni, o dell’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, poi dimessosi dalla giunta. Per loro, come per altri, l’ipotesi è di corruzione. È trascorso un anno da quella mattina quando, con una ordinanza firmata dal Gip Scaramuzza, la procura lagunare aveva stretto il cappio su un giro di affari a favore di politici ed addetti agli apparati dello Stato foraggiati da imprenditori con fondi neri e denaro pubblico legato alle opere di messa in sicurezza della laguna di Venezia dalle maree eccezionali, il sistema Mose. Oltre ai tre - Orsoni, Galan e Chisso - nell’inchiesta erano finiti altri nome di peso nella politica regionale - come l’ex tesoriere veneto del Pd Giampiero Marchese - e uomini dello Stato, come l’ex generale della Finanza Emilio Spaziante o i due ex presidenti del Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta. Quest’ultimi a capo dell’organo periferico del ministero delle Infrastrutture che aveva il compito di controllare la regolarità delle opere.Nell’inchiesta finirà, in un secondo tempo, anche l’ex ministro all’Ambiente Altero Matteoli, indagato come gli altri per presunte tangenti. L’indagine era la terza e decisiva tranche dell’inchiesta che ruotava attorno ai fondi neri all’estero costituiti da parte di alcuni imprenditori legati al Consorzio Venezia Nuova, all’epoca presieduto da Giovanni Mazzacurati. Le prime due fasi avevano portato in carcere personaggi chiave come Piergiorgio Baita, ex Ad della Mantovani, e Claudia Minutillo, divenuta imprenditrice dopo i trascorsi come segretaria dell’ex governatore Galan. Poi era toccato al `gran burattinaio´ del Consorzio, Mazzacurati.

I tre avevano patteggiato e sulle cui dichiarazioni si è poi basata gran parte della tempesta giudiziaria che ha sconvolto Venezia e non solo. Secondo gli inquirenti, gli illeciti, in soli cinque anni, avrebbero portato nelle tasche di singoli, società e forse di partiti oltre un centinaio di milioni di euro. Il pool di Pm - Stefano Ancillotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, coordinati da Carlo Nordio - ha provveduto anche sequestri per 40 milioni di euro. Sul piano giudiziario, in questi mesi sono state valanghe di patteggiamenti a cominciare da Galan e Chisso, che hanno concordato con la Procura il primo 2 anni e 10 mesi (da scontare ai domiciliari che si concluderanno a metà giugno) e 2,6 milioni di euro da restituire; e 2 anni e 6 mesi per Chisso, senza richiesta di denaro perché risulta nulla tenente. Entrambi hanno poi ricorso in Cassazione. Per Orsoni, invece, fallito il patteggiamento perché respinto dal Gip, si attende la data del processo per quei 500mila euro stimati dalla Procura, datigli dal Cvn per finanziare la sua campagna elettorale. La battaglia legale per le difesa ha riguardato anche l’attendibilità della dichiarazioni dell’anziano Mazzacurati, risultato incapace di rispondere alle domande. Nel frattempo, il Consorzio Venezia Nuova è stato commissariato e la conclusione dell’opera è slittata dal 2016 al 2017.
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